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Yama e Nyama

I Precetti dello Yoga

Quando parliamo di Yoga è molto riduttivo riferirsi solo al "momento sul tappetino" in cui pratichiamo le Asana.  Alla base dello Yoga, prima ancora della pratica delle Asana e della Meditazione, Patanjiali un grande "Maestro dello Yoga", autore oltre 2000 anni fa, degli "Yoga Sutra", primo e più autorevole testo di yoga ancor oggi, proprio con gli Yoga Sutra ci ha trasmesso le indicazioni di condotta, i principi di comportamento che un praticante deve tenere verso se stesso e verso gli altri. Indispensabile base per tutti i praticanti. Tali principi sono Yama e Nyama.

Yama rappresenta una rotta verso la quale indirizzare le proprie energie, se si vuole evitare di correre in mille direzioni,  altrimenti  sarà molto difficile ottenere una realizzazione di sè.


Yama significa indirizzare la propria vita, è sufficiente darsi una direzione per creare in sè un centro che a sua volta aiuterà a dare forma cosciente alla rotta, possiano dedurre che Yama è il punto di partenza che invita centrarsi in sè per rispondere alla vita.

I precetti non vogliono essere una limitazione ma un arricchimento della vita, dobbiamo usarli per arricchirci e non per distaccarci da essa. 


I  cinque Yama sono:


Ahimsha, non uccidere;  Satya, non mentire;  Asteya, non rubare;  Brahmacharya, controllo ed uso dell'energia sessuale;  Aparigraha, non essere avaro.

I. Ahimsha significa semplicemente nutrire un profondo amore per la vita, tale da non avere o alimentare alcun istinto ad uccidere o ferire qualcuno. La non violenza è amore puro  per la vita  e Patanjali pone questo precetto come primo,  in quanto  questa è la base da cui partire.

 II: Satya  significa non mentire, ma ha in sè una connotazione diversa dal nostro "non dire bugie". L'idea si riferisce al proprio essere interiore: non mentire alla propria natura, a se stessi, al propria intimità. Essere sinceri verso la propria voce interiore.


III. Asteya  significa non rubare. Non rubare nulla che appartenga a qualcun altro.  

IV. Brahmacharya significa  vivere una vita divina.  Non si tratta di astinenza sessuale come molti lo interpretano,  Patanjali  non si riferisce a ciò, ma  a trasmutare la propria energia, elevandola dal primo chakra al settimo, nel quale il Brahmacharya accade.

Il  Brahmacharya invita a comprendere l'energia sessuale, non a reprimerla.


V. Aparigraha, solo  a questo punto si ha un distacco interiore tale da non essere più avari. Fino ad allora si deve prestare un'attenzione cosciente al proprio comportamento, perchè più si è vuoti più si tenta di possedere qualcuno o qualcosa, fosse solo per colmare quel vuoto. Chi realmente possiede, non desidera niente. 

Con Yama si conclude il lavoro all'esterno, nei confronti degli altri. E a questo punto appare Niyama, la legge interiore, che compare nella propria solitudine, e con la quale ci si deve sempre confrontare. Si tratta di attenzioni, di riguardi verso se stessi.

I cinque Niyama sono:


I. Pulizia: Pulizia del corpo e della mente, in quanto un corpo malato non può ospitare un essere sano. Mangiare male può danneggiare il corpo. Il cibo può appesantire, può intorpidire, può immettere tossine nocive. Il corpo può essere curato tenendolo pulito, alleggerendolo da tensioni, da pensieri, da preoccupazioni e da angosce: per questo si può parlare di pulizia a livello anche mentale.


II. Serenità: Un uomo che vive una vita naturale sarà sereno di conseguenza. Essere sereni è sentirsi parte di un grande disegno col quale nessun desiderio può competere. Questo implica una profonda consapevolezza e una profonda comprensione.


III. Ascesi: Patanjali la pone dopo la serenità,  perchè si può raggiungere solo in un secondo tempo: dopo che i desideri non hanno più presa sull'uomo, che l'uomo ha  conquistato un equilibrio sereno.


IV. Studio: Solo a questo punto si è nello stato d'animo in cui è possibile uno studio libero da pregiudizi, da prevenzioni, da ipocrisie. E per studio  non si intende un lavoro esteriore, ma un processo di meditazione interiore.


V. Devozione: la devozione o anche abbandono al divino, in quanto solo ora è possibile arrendersi al divino. E in questo abbandono che si comprende il Divino e si acquista la propria essenza divina. 

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